Chiunque sia stato a dieta l’ha potuto constatare: i primi chili spariscono in un attimo, poi tutto sembra bloccarsi anche se continuiamo a mantenere il regime dietetico stabilito. Questo è dovuto al fatto che nella fase iniziale la perdita di peso è dovuta alla mobilizzazione e utilizzazione dei grassi in eccesso, dei muscoli e dei liquidi. Dopo circa 20 giorni dall’inizio, di questi elementi rallenta per poi tornare ad incrementare, aumentando contemporaneamente anche il peso corporeo.
Questo è l’incubo di tutti, la cosiddetta fase “plateau” durante la quale si può avere a che fare con un aumento del peso nonostante la dieta ferrea perché si sa, il muscolo pesa di più del grasso, quindi significa che si sta bruciando massa grassa per incidere su quella magra.

 È importante in questa fase utilizzare un giusto mindset, senza farsi prendere dallo sconforto e continuare con il percorso prestabilito.
Per fare questo si consigli di non salire spesso sulla bilancia e ricordare che il numero che si vede scritto, non sempre è quello che fa comprendere il proprio stato di salute.
Le misure da dover prendere sono quelle delle circonferenze che vengono stabilite e prese da uno specialista nel proprio studio.

Non bisogna orientarsi neppure a delle misure troppo drastiche, l’organismo non accetta una riduzione calorica che superi le 500 calorie giornaliere e neanche la nostra testa. Ogni volta che questo livello è superato, il nostro corpo entra in uno stato di allarme nei confronti di quella che esso percepisce come una situazione di emergenza da digiuno.
Lo stress prodotto che aumenta la produzione di adrenalina e le altre reazioni legate ad essa, possono provocare debolezza, nausea e capogiri e rendere il tutto una sola e vera tortura. 

Le diete “yo-yo” sono dannose per la salute, oltre che per la mente che arriva ad essere esausta della situazione e rendono i tentativi di dimagrimento successivi sempre più.
È proprio questo approccio che fa scattare delle problematiche a livello psicologico che, alla lunga, portano ad avere delle patologie che si ripercuotono sul cibo, anche gravi.

Perdita dell’appetito: un campanello d’allarme 

Fra i sintomi fisici e mentali vi è una vera e propria depressione talvolta, difficoltà mentali legate al cibo che ricoprono un ruolo di primo piano.
La perdita dell’appetito può essere un segnale importante da non sottovalutare che inizia con un leggero problemino, ma che può portare, se trascurato, allo sviluppo di una reale depressione. Le risoluzioni drastiche alla voglia di migliorare il nostro aspetto e i cambiamenti nelle abitudini alimentari possono essere collegati ad altri sintomi della depressione.  Chi è depresso deve affrontare un senso di perdita di energia, di spossatezza, a cui si unisce la mancanza di provare piacere nel fare le cose. Cose a cui ci si sente comunque ben poco interessati. Diventa una questione di quantificazione dell’energia come se si parlasse di qualcosa in termini monetari: quanto ci metterei a farlo? Quanto mi costerebbe? Unito a un senso di rassegnazione che porta, invece, ad affermare di non riuscire a farcela.

Per chi è depresso, le attività della vita anche quelle quotidiane date per scontate dai più, sono un dispendio assai di energia e fatica. 

Mangiare che per tutti dovrebbe essere un’attività piacevole, non diventa una priorità perché richiede troppo sforzo l’inventiva, la cucina e l’azione di ingerimento stesso.
Si mangia per avere energia, ma la mente fa giochi e scherzi strani, perché per chi ha delle problematiche, diventa una cosa completamente priva di senso, uno spreco di energie inutile.

Si parla solo di depressione?

Ovviamente, non tutte le situazioni in cui una persona non mangia più sono da addebitare alla depressione o a patologie gravi relative all’assetto mentale.
Talvolta, una delle motivazioni più diffuse per la perdita di appetito, involontaria e significativa sovente, è lo stress.

Tutti hanno esperienza di situazioni di vita in cui si viene sopraffatti dalla giornata e dalle persone che sono pronte a richiedere qualcosa in più del solito, tutti insieme, magari.

Il peso di queste richieste è così forte e da portarci a essere preoccupati, in tensione, a non avere tempo e ad arrivare alla conclusione che il mangiare sia una cosa superflua che può essere accantonata. 

L’aspetto determinante è che in questi casi, eclissato il pericolo, svanita la fonte dello stress, la situazione cambia. E la normalità torna.

La mancanza di appetito dipendeva da qualcosa che stava accadendo nel mondo in quel preciso momento e intorno a noi e non siamo stati noi a creare una determinata situazione colma di ansietà, eppure ci siamo ritrovati in mezzo.

È un problema completamente esterno, quello dello stress e siamo noi a farlo diventare interno addossandoci cose che, spesso, non ci competono neppure.
Ma una volta compreso questo, quando si decide di prendere il proprio tempo per dedicarci a noi stessi, con forza di volontà e determinazione, tutto cambia. Con un aiuto esterno magari, ma è fattibile e veloce.

Il caso della depressione è diverso. Il problema non è il mondo esterno, ma il mondo interno.

In poco tempo cose si complicano. O ci pare che si complichino più del dovuto, forse, perché i cambiamenti che avvengono dentro di sé non sono mai indipendenti da quello che succede fuori.

Un evento importante, scioccante o travolgente come un divorzio, una malattia o, peggio, la morte di una persona cara, possono sfociare in un abbattimento emotivo tale da poter sfociare con la depressione. Quasi sempre produce delle mini-depressioni, normali e superabili.

Quando un evento come questi avviene e si incontra con una persona predisposta a sviluppare depressione, ecco che salta fuori un possibile problema. E a rimetterci, è anche la mancanza di appetito che si protrae nel tempo provocando anche disturbi di carattere fisico.

 Quindi: c’è qualcosa che succede nel mondo attorno a sé, ma la cosa più importante è il cambiamento interno che va in parallelo con gli eventi esterni.
Il tipo di inappetenza patologica che deriva da questa condizione è più subdolo: rimarrà fino a che non cambierà qualcosa dentro a chi la sperimenta.

Mancanza di appetito. Quando conta la testa.

Nel caso la mancanza di appetito sia effettivamente legata alla depressione o a un momento particolarmente stressante che coinvolge anche fattori esterni ci ritroveremo ad affrontare alcune situazioni strane:

· salto dei pasti

· dormire durante l’orario in cui si dovrebbe mangiare

· avere sempre sonno

· dimagrimento inevitabile

· disinteresse e per la ricerca di nuovi piatti o sapori, per la cucina e la preparazione dei pasti

· nausea

· perdita di energie

· ricerca di giustificazioni per evitare di assimilare i pasti 

Il senso di stanchezza che si accompagna alla mancanza di appetito rende difficile avere la motivazione sufficiente a spingersi a mangiare.

D’altra parte, però, obbligarsi a mangiare non è né semplice né la cosa più facile, ma neppure utile perché si rischierebbe di ottenere l’effetto contrario e cominciare a odiare l’alimentazione, non solo a esserne indifferenti.

Quando l’esperienza inizia a protrarsi a lungo e a diventare molto negativa, la mancanza di motivazione davanti al cibo inizia a mescolarsi con la paura nei confronti della propria inappetenza.

 Il problema principale è rendersi conto di avere un problema da risolvere.
Sembra un gioco di parole, ma finché la consapevolezza non avviene, non si può procedere alla risoluzione. 

Quando arriva questa consapevolezza, arriva anche un conflitto.

Perché? Semplice: trovare le forze e la motivazione per mangiare è spossante e allo stesso tempo si sa che è necessario per vivere. 

Il risultato di un mancato intervento? Continua tristezza, senso di colpa, perdita di interesse verso i propri progetti, il lavoro e verso la nostra persona.

Da un lato ci si rende conto che ci si sta facendo del male, dall’altro non si riesce a sentirsi importanti abbastanza da occuparsi di sé.
Perché non si tratta più di una questione fisica, questa è diventata una conseguenza a quelli che sono gli aspetti mentali derivati da tanti fattori. Come quelli precedentemente citati o per un effetto contrario ottenuto a seguito di una presa di posizione nei confronti della perdita di peso stessa.

Ci si sente sbagliati ed è un cane che si morde la coda, meno si fa, meno si vorrebbe fare, più ci si sente in colpa. 

L’unico modo per risolvere la situazione, però, è quello di dedicarsi a qualcuno capace di poter riuscire a sbloccare il meccanismo mentale indotto e ritornare a un giusto mindset se il problema riguarda solo a un momento no derivato da questioni esterne e un medico specializzato in caso di reale depressione.

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